Claudio D’Agostino è il frontman della cooperativa Immaginaria. Organizzazione no profit che tra qualche mese soffia le sue prime 10 candeline di attività. Ecco la sua intervista sul percorso e le impressioni raccolte in questo cammino e l’idea di teatro che ha preso forma in questi dieci anni di condivisione, di scambio e di esperienza.
Volendo fare un’analisi su questo decennio e facendo una panoramica su questi anni di sogni, azioni, progetti, persone e sperimentazioni quali sono le “azioni chiave” che hanno segnato il percorso della cooperativa secondo te?
Prendiamo come esempio la lumaca, un animale che spesso mi torna in mente. Credo che Immaginaria in questi 10 anni si sia mossa come una lumaca, trascinandosi per il mondo della cultura e del terzo settore, strisciando quasi inosservata tra i grandi ostacoli della quotidianità. Possiamo dire che in 10 anni Immaginaria ha saputo proteggersi, distribuendo poco ma costante lavoro, partecipando a gare insolite nel panorama. In dieci anni la lumaca ha continuato a camminare alla ricerca di una propria posizione di vita, ma nel frattempo ha incontrato, si è confrontata, ha sbagliato, ma ha anche avuto il coraggio di salire su piccole alture, innalzando l’autostima fino a quando non si è tornato a strisciare nel quotidiano. Il contesto non è sicuramente dei migliori, per le piccole lumache come noi è importante essere presenti sempre, per non rischiare di rimanere schiacciati da imprevisti esterni. In questa piccola giungla del terzo settore Immaginaria si trova spesso a rimarcare la propria autonomia. In cosa è veramente necessario identificarci? Cerchiamo di rigenerare e stravolgere i nostri punti di vista.
Crescere è sia una questione di finanze sia di contenuti che Immaginaria tenta di portare saldi alle radici e proiettati nel futuro. Per questo lentamente continueremo a ritrovarci in tentativi di sviluppo sociale, culturale ed economico, promuovendo la partecipazione attiva nella realizzazione delle proprie visioni. Lentamente continueremo a viaggiare per l’Europa incontrando attivisti e sognatori, promuovendo pratiche a favore dell’armonizzazione sociale. Uno dei tanti obiettivi favorire l’espressione del sé, dell’io in questo piccolo grande mondo. Armonizzarsi con l’esterno, favorendo la connessione dell’io con tutto quello che ci circonda. Si potrebbe dire respirare il tempo della nostra esistenza (ma si rischierebbe di risultare patetici). Sarebbe però estremamente curioso riconoscersi in tempi e modalità diverse, in percezioni di realtà non strettamente collegate al racconto corale. Sarebbe bello poter dire basta e sapere di essere ascoltati.
Nel lungo e lento cammino di immaginaria, porto con me tanti cerchi, figura geometrica che permette realmente di sentirsi alla pari, con pari opportunità. Ricordo il cerchio di piazza Roma, dove si sono incontrati il teatro, la musica, il cinema e il trucco per il cinema. Ricordo il cerchio dei papà alla prima celebrazione del 19 marzo. Ricordo i cerchi internazionali, quello a Berlino in una costruzione dedita alla formazione del tempo libero. La scommessa più grande di Immaginaria è sicuramente Alma d’Arte, un luogo che permette ad Immaginaria di sperimentare pratiche tecniche e tentativi di sviluppo di comunità.
Il teatro è sempre stata una delle attività fondante della cooperativa: dall’attivazione di laboratori, a spettacoli, da produzioni a sperimentazioni. Stesso voi vi siete ritrovati attori e insegnanti. Un teatro che oltre la finalità artistico-culturale ha sempre avuto una connotazione sociale, che mette al centro le relazioni tra persone e quindi la comunità. Teatro usato, quasi sempre, come strumento rispetto a fini sociali, educativi o di cura. Dopo le varie esperienze fatte quale è l’idea di teatro di immaginaria?
Ancora dobbiamo mettere nero su bianco, ancora non abbiamo firmato nessun atto che attesti la nostra idea di teatro. Per ora posso dire il teatro che a me non piace e quello che adoro.
Non mi piace il teatro che diventa manifesto, che porta consigli, idee, intuizioni, pensieri che per quanto poetici possono essere alla fine cercano comunque di farti uscire migliore.
Non mi piace il teatro che si vanta, che si atteggia a teatrante, forse non mi piace neanche l’attore che pur sapendo quanto lungo sia il cammino si sente sempre arrivato, anche se non si sa poi a cosa.
Non amo il teatro delle occasioni, quello che valorizza il non professionista in professionista, come portatore di verità.
Non amo la riproduzione del teatro, non amo la parola recitare, la preferisco in inglese, giocare il teatro; sì! Perché amo il teatro che diventa occasione di crescita partecipativa, che diventa strumento di un contesto in cui viene praticato e realizzato. Amo quando si usa il teatro per fare altro. Amo certi lavori, registi, autori, drammaturghi, che attraverso l’opera del teatro riescono a raccontare l’opera della vita e della necessità di vivere. Il teatro, ma come l’arte in generale, deve essere utile così come è utile l’idraulico, il medico, lo scienziato. E l’utilità nasce quando si mette a disposizione di una comunità e non ci si sente portatori di una verità assoluta.
Nell’ultima collaborazione di Immaginaria, abbiamo ospitato una pedagoga regista tedesca per un percorso condiviso con Enzo Mirone, all’interno del progetto Quartieri di vita della Fondazione Campania dei festival.
Charlotte Pfeifer ha descritto Alma d’Arte come un posto che vive di artisti ma che non sono come i soliti artisti. Mi piace pensarla così, adoro l’arte quando è fatta da persone, che amano mettersi in gioco, ridere di se e degli altri e proiettano la loro azione ad uno sguardo che vada oltre la punta del proprio naso.
Amo confrontarmi con persone che si sentono portatori di una responsabilità, sempre grati alla terra, all’anima e all’opportunità.