Antonio, storico e traduttore, per amore delle storie. Italiano all’estero, per amore e basta. Parli sette lingue, spesso tutte insieme in un caotico grammelot. Pensi in inglese, canta in napoletano, sogni. Ti innamora di tutto, ridi in faccia ai tabù e danzi intorno ai totem prima di buttarli giù. Nel 2007, spinto dalla sete per il viaggio e le altre culture, hai scoperto il mondo dei “progetti europei”. Da allora non sei riuscito più a smettere, contribuendo al design di decine di esperienze di educazione interculturale e alla costruzione di reti tra realtà ed esperienze internazionali. Già da tempo collabori con la Cooperativa Immaginaria diventandone parte integrante del team. Parliamo della tua esperienza. Al netto delle tue esperienze, quale è il valore della mobilità internazionale? E quale è stato il suo impatto sulla tua vita, sia professionale che privata?
Allora per misurare il valore della mobilità internazionale proverò a prendere in considerazione, a mo’ di parametro, l’impatto che ha avuto sulla mia vita.
Partendo dal piano personale: da due anni vivo a Vilnius, capitale della Lituania, sposato con Viktorija, una ragazza lituana conosciuta nel 2016 mentre lavoravo in un corso di formazione internazionale in Italia. Io e Viktorija ci parliamo in cinque lingue, a seconda delle esigenze e dell’umore del momento, mentre il nostro piccolo Henri ad appena un anno e mezzo comincia a fare i conti con il suo trilinguismo forgiando (proprio come il suo papà) un personalissimo grammelot italo-russo-lituano.
Sparsi in tutta Europa ho amici carissimi, conosciuti grazie ai programmi di mobilità internazionale e con i quali, in tanti casi, condivido anche interessi di carattere professionale. Sempre per quanto riguarda l’ambito professionale, la possibilità di creare rapporti che vadano oltre la semplice collaborazione – perché ci si mette in gioco in maniera profonda, dando tanto di se stessi, e sapere di poter contare su un gruppo di persone d cui potersi fidare fa la differenza… Last but not least: questo non lo so se appartiene alla sfera personale o a quella professionale, ma per me è fondamentale il fatto di aver avuto la possibilità, in tutte queste esperienze, di mettermi in gioco – scoprendo cose di me stesso che mi erano ignote, passioni sconosciute, desideri inespressi – e di realizzare alcuni miei sogni, come quello di fare cultura attraverso il gioco, l’arte, l’educazione non-formale, il divertimento.
Penso di potermi fermare qui e di poter affermare, senza tema di smentite, che per me il valore della mobilità internazionale è semplicemente inestimabile!
Nelle tue tante esperienze di mobilità, c’è un fattore, un elemento che accomuna tutti i progetti/scambi giovanili vissuti? O è sempre un nuovo percorso?
Sinceramente, penso che siano vere entrambe le cose! Nel senso che, se c’è, l’elemento che accomuna le decine di esperienze di mobilità che ho vissuto finora è riassunto in un motto usato, tra gli altri, da Oscar Wilde: “Expect the unexpected!”. È un insegnamento che ho appreso in uno dei primissimi progetti cui ho preso parte e che da allora ho fatto mio, e che per me vuol dire due cose: non solo il significato abituale, cioè essere sempre pronto ad agire di fronte a qualsiasi situazione inattesa si presenti (e nei progetti se ne presentano tante, di ogni genere!) ma anche e soprattutto mettere da parte i propri preconcetti e mantenere intatte la propria freschezza ed apertura mentale, per far sì che il peso delle esperienze vissute non chiuda la porta alla possibilità di essere sorpresi. Sono convinto che (specialmente per chi vive queste esperienze dal punto di vista professionale, fino a diventare una specie di “habitué”) sia un’attitudine fondamentale affinché questo splendido lavoro non si trasformi in routine.
Sono felice di poter dire che ogni volta, dopo ogni progetto, porto via con me una piccola sorpresa, una nuova scoperta, che sia un incontro interessante, una pratica da approfondire o una nuova realtà con cui collaborare in futuro.
Erasmus+ promuove l’accesso aperto alle realizzazioni dei progetti a sostegno dell’apprendimento, dell’insegnamento, della formazione e dell’animazione socioeducativa. Nel tuo lavoro di ideatore e progettista di scambi europei quali sono gli obiettivi principali che cerchi di inseguire?
Prima di tutto, ci tengo a dire che non mi piace la parola “progettista”! Porta con sé l’idea di un sapere tecnico, un approccio demiurgico alla realtà sociale e la falsa promessa di soluzioni-passepartout adatte a qualsiasi contesto. Non mi ci riconosco!
Preferisco piuttosto considerarmi un facilitatore, che mette a disposizione il proprio sapere e le proprie competenze per contribuire alla creazione condivisa di reti di cooperazione e di percorsi d’apprendimento, formazione e innovazione sociale. Gli obiettivi che sto inseguendo sono esattamente questi: co-creare, fare rete ed innovare, cercando di portare avanti uno sguardo olistico che abbracci natura, arte e cultura, coinvolgendo le persone, le comunità di cui fanno parte e gli ambienti in cui muovono, che attraversano e vivono. Sono i temi su cui ci stiamo interrogando nell’ambito del gruppo Co-progettazione di Immaginaria, su cui stiamo sperimentando ormai da qualche tempo: abbiamo sicuramente più domande che risposte ma abbiamo grandi sogni, sono felice del nostro lavoro!
Piccoli consigli per chi vuole vivere un’esperienza del genere?
A differenza di quando ho cominciato io, adesso su Internet c’è davvero di tutto per informarsi sui programmi di mobilità internazionale: webinar, corsi, siti e pagine dedicate sui social media. Il rischio, paradossalmente, può essere quello di perdersi! Perciò, per cominciare ad avvicinarsi in maniera chiara ed orientata al programma Erasmus+, il mio consiglio è seguire costantemente il sito dell’Agenzia Nazionale Giovani che è una vera miniera d’informazioni per quanto riguarda tutte le opportunità di mobilità e, più in generale, di formazione (ospita persino “Palestre di progettazione”, per chi fosse interessat* ad avvicinarsi al lavoro che faccio!).
Non appena i tempi lo consentiranno nuovamente e ci sarà la possibilità di viaggiare, il consiglio che mi sento assolutamente di dare è partecipare in prima persona a un’esperienza internazionale! Che sia uno scambio in cui scoprire una delle tante facce dell’educazione interculturale, una formazione per chi magari già sta portando avanti un percorso professionale o il Corpo Europeo di Solidarietà per chi ama fare volontariato e vuole provare a vivere un periodo all’estero. L’importante è mettersi in gioco, aprirsi all’imprevisto! Queste esperienze portano con sé tanti cambiamenti: alcuni sono più superficiali e, anche se a prima vista tendono a balzare all’occhio, passano facilmente con il passare del tempo; altri, invece, sono più profondi e magari necessitano di più tempo per manifestarsi – ma, quando lo fanno, lasciano un segno indelebile.