Da un’idea di Enzo Mirone è nato “Ashraquat”, un progetto/laboratorio realizzato dalla Cooperativa Immaginaria in collaborazione con lo SPRAR di Petruro Irpino (AV). Il laboratorio rientra nella rassegna “Quartieri di vita” il festival di formazione e teatro sociale organizzato dalla Fondazione Campania dei Festival, con il sostegno della Regione Campania. Abbiamo fatto qualche domanda a Enzo per comprendere meglio il progetto. Ecco l’intervista.
Parlaci di questo progetto, da dove nasce, come sta prendendo forma…. Cosa significa Ashraquat?
Partecipiamo a Quartieri di vita per il quinto anno consecutivo con grande soddisfazione per tutti gli inneschi disseminati lungo la strada (mi riferisco ad associazioni, enti e persone coinvolte) e per il rapporto di stima/fiducia costruito con la fondazione e, soprattutto, con la direzione artistica del festival. L’obiettivo, per questa nuova edizione, è la produzione di un piccolo film.
Inizialmente avevo solo un titolo “ipotetico” attorno al quale costruire un’idea. Come un seme sconosciuto che, se vuoi sapere, devi solo piantarlo e aspettare che germogli. Sempre aspetto di conoscere le persone con cui condividerò il progetto per costruire un percorso di lavoro a partire da e insieme a loro. Quel giorno abbiamo incontrato Ashraquat, una bambina siriana nata in Italia. Ashraquat vuol dire Alba. Stavo rileggendo l’Odissea e il verso “E come, figlia di luce, brillò l’aurora…” ha acquistato un senso profondo e profetico. Ho messo da parte quel seme “ipotetico” e quello di Omero è diventato il terreno sul quale piantare il nuovo seme.
Che significato assume la storia personale dei partecipanti al laboratorio, che ruolo hanno i partecipanti all’interno del progetto?
Stiamo ripercorrendo insieme le vicende dell’Odissea e, allo stesso tempo, stiamo ascoltando le loro storie nel tentativo di individuare elementi di contatto. L’idea è quella di intrecciare le vicende narrate da Omero al racconto delle vite affidateci dai nostri compagni di lavoro. Presto ci siamo resi conto che le vicende spesso non sono altro che scrigni dai quali estrarre desideri, aspirazioni, paure e tutti quegli elementi che spingono inesorabilmente uomini e donne all’azione. Abbiamo allora distratto il lavoro dalle azioni stesse per concentrarlo sulla forza propulsiva che le muove e sulla luce che meravigliosamente le illumina.
Stiamo vivendo un periodo storico incomparabile (per noi), la pandemia ha interrotto molti flussi, soprattutto in ambito culturale. Questo cambiamento ha influenzato l’organizzazione degli incontri e delle attività laboratoriali in sé. Ci sono comunque cose positive che possono emergere, quali secondo te?
Occorre irrobustire la muscolatura e, allo stesso tempo, preservarne l’elasticità per realizzare i salti mortali che l’attuale situazione ci richiede. E per muscolatura intendo non solo quella corporea ma anche, e soprattutto, quella emotiva e psichica. La scelta di realizzare in video l’idea ideata e perseguita è già di per sé imposta dalla situazione “limitativa”. Questo, però, mi da la possibilità di lavorare su un linguaggio, per quanto diversamente complesso ma più familiare, che non è quello della scena. Si tratta di esplorare le possibilità poetiche di un linguaggio e di un mezzo tecnico che comunque è da qualche tempo che pratico con curiosità. Realizzeremo, oltre che alle immagini, anche il suono/musica.
A dar man forte a Enzo Mirone, c’è la nostra Ilaria Masiello, abbiamo posto qualche domanda anche a lei.
Che tipo di lavoro state portando avanti? Quanto è importante la contaminazione di vite, emozioni e culture?
Il lavoro che stiamo portando avanti io ed Enzo è un lavoro delicato fatto di incontri umani forti e allo stesso tempo delicati. Da questi incontri partiamo, dai racconti dei bambini siriani, da quelli di Angela, una mamma africana, da quelli di chi amorevolmente li accoglie.
Così i loro “viaggi” diventano i nostri, i loro viaggi coraggiosi come quelli di Ulisse nell’Odissea. Nel poema epico c’è Penelope che aspetta un uomo con cui condividere la vita, c’è Ulisse che parte dalla sua patria e per dieci anni cerca di tornarci, ci sono i Feaci che accolgono Ulisse sempre benevolmente e c’è il Ciclope che proprio un buon ospite non è. Ognuno ha la sua parte in questa vita, che sia cercata o destinata poco conta. Ognuno insegna e può insegnare. Noi impariamo da loro il coraggio di andare avanti e la speranza per un futuro migliore, loro da noi che si può continuare anche a giocare.
Hai partecipato come attrice a varie edizioni di “Quartieri di vita”. Hai avuto modo di valutare la qualità di questa rassegna da vari punti di vista. Quale valore assume il teatro orientato al lavoro al supporto delle fasce sociali “deboli” piuttosto che il teatro inteso anche come possibilità di formazione non solo attoriale? Quali sono le tue aspettative?
Quartieri di vita è un progetto importante, di alto valore sociale, un progetto che dà il giusto peso al lavoro che viene svolto. Il fatto che sia continuativo poi dà ancora più forza all’operazione con le realtà che vi partecipano. Il teatro sociale è il teatro che mi interessa, dove la realtà, il lavoro personale di ognuno su se stesso è l’avvio di tutto e l’atto finale è l’incontro tra esperienze di vita e l’ascolto partecipato del pubblico. Il teatro si fa catarsi ed è speciale viverlo. Ogni momento del percorso è un’avventura e tutte le volte diventa emozione. L’incontro è profondo, la conoscenza dell’altro intima e l’unica aspettativa è quella di stare bene insieme…null’altro.