Giampaolo Vicerè nel 2022 si è ritrovato nel team di Procida Capitale della Cultura 2022, in qualità di responsabilità di comunità; in una Procida aperta, che non isola, laboratorio culturale di felicità sociale. Abbiamo chiesto al vicepresidente di Immaginaria di raccontarci di questa esperienza ancora fresca.
G. Ho seguito con molto interesse fin dall’inizio l’esperienza di candidatura di Procida2022. Da subito ho percepito la straordinarietà del progetto culturale messo in campo. Allo stesso modo sui vari canali social seguivo le azioni del direttore artistico Agostino Riitano, il quale già da tempo mette in campo azioni di sviluppo locale a base culturale. Poi quando nel novembre 2021 è uscita la call in cui si ricercavano varie figure professionali per comporre il team che avrebbe poi realizzato le attività del programma culturale, non ho esitato a inviare la mia candidatura come responsabile dei progetti di comunità.
Devo dire che non sono stato scelto subito, ma in cuore mio speravo tanto di poter fare parte di questa meravigliosa avventura. A fine gennaio 2022 ricevetti una chiamata da parte del direttore Riitano in cui mi chiedeva se fossi ancora disponibile. Così ho accettato la proposta immediatamente e il 21 marzo mi sono ritrovato sull’isola a prendere parte in questa avventura. L’avvio è stato di quelli funesti. Mi sono ritrovato su un treno che correva a 100km all’ora ed io che dovevo rincorrerlo. Tutto il team era in piena trance lavorativa in vista dell’inaugurazione che sarebbe avvenuta di lì a poco il 9 aprile, alla presenza del Presidente Mattarella. La prima volta che un Presidente della Repubblica raggiungeva un’isola così piccola.
Si può immaginare l’enorme sforzo in termini di logistica e di sicurezza. L’inaugurazione la ricordo come forse uno dei momenti più intensi della mia esperienza Procidana. Io fui chiamato ad assistere una delle compagnie artistiche coinvolta nell’evento. Les Tambours et Poupées, un gruppo di artisti francesi, che coniugano musica lirica, un gruppo di percussioni e grandi bambole immaginifiche. Da lì, dopo il “battesimo di fuoco”, iniziai ad occuparmi di progetti di comunità inseriti nel programma culturale. Ogni progetto ha avuto un proprio ente attuatore ed il mio compito è stato quello di supportare tali enti nella fase attuativa a quella di relazione con la pubblica amministrazione.
Ho seguito progetti di esposizione all’interno di Palazzo d’Avalos come la mostra “Fili d’ombra, fili di Luce”, il festival “Compra Sud” sulle tipicità culturali ed enograstronomiche del sud del mondo, i laboratori di architettura per bambini “Restart from the future”, i laboratori di ricerca e azione teatrale sul tema del viaggio “Voci al Vento”, il programma di consapevolezza del patrimonio storico artistico naturale rivolto agli operatori turistici e non “Accogliere ad Arte”, i percorsi esperienziali sulle tipicità enogastronomiche dell’isola “nutrice”, i laboratori destinati ai migranti per superare il trauma del mare “22 nodi”, la costruzione di un’orchestra multietnica con migranti provenienti dal sistema nazionale SAI “Amih”.
44 progetti, 150 eventi distribuiti in 300 giorni di programmazione, coinvolti 350 artisti di 45 Paesi differenti. Legami, co-creazione, dimensione internazionale, inclusione ed ecosostenibilità. Un anno esplosivo. Può la cultura essere strumento di coesione e valorizzazione del territorio e quindi di sviluppo locale?
G. Mi verrebbe da dire parafrasando i miei colleghi napoletani “A maroo”. Penso proprio di sì. Quest’anno a Procida mi ha confermato ancora di più ciò che credevo prima e cioè che la cultura intesa come insieme di pratiche, esperienze, modi fare tendenti all’apertura, all’accoglienza, all’ascolto è una potentissima leva di sviluppo locale. L’elemento determinante a Procida, secondo me, è stata la capacità d’inserire all’interno di un contenitore simbolico, quale è il titolo di capitale, elementi innovativi e significativi che dessero risalto e importanza al concetto di insieme e di comunità. Naturalmente se penso ai nostri territori delle aree interne, mancando il contenitore simbolico forse bisognerebbe immaginarsi altre formule e forme, che partano da politiche pubbliche regionali e locali capaci di aggregare e non disgregare o dissipare risorse pubbliche, in questo momento in forte crescita.
Tu sei socio fondatore di Immaginaria, che da tempo cerca di pensare alle possibilità del lavoro artistico in contesti sociali, rurali e marginali. Cosa hai portato di Immaginaria a Procida? E, viceversa, cosa porterai a casa dopo questa ricca esperienza?
G. Di Immaginaria a Procida ho portato innanzitutto l’entusiasmo, l’energia e la caparbietà, nonché la capacità di lavorare in contesti non propriamente agili. A casa invece porto un capitale relazionale estremamente variegato e allargato. Quest’anno a Procida mi ha dato la possibilità di stringere legami importanti con miei coetanei e conterranei che forse senza Procida non avremo mai conosciuto. Parlo del mitico dream team, i miei colleghi di lavoro con cui ho condiviso quest’esperienza. Un team giovane, dinamico, ambizioso e speranzoso con i quali ho stretto un rapporto favoloso. Ci siamo supportati in ogni momento, abbiamo cooperato e gioito ogni volta. Si è creato tra di noi veramente un bellissimo clima di lavoro e ciò non era cosa scontata. Poi con tutte le associazioni e enti attuatori con cui ho avuto la fortuna di operare si è creato una forte sintonia e ho imparato moltissimo da ognuno.
Intervista a cura di Valentina Leone.